Dalla finestra di casa

Ci sono un sacco di luci la sera nel palazzo di fronte, non ne avevo mai viste così tante, tutte insieme. Sembra stiano organizzando un concerto, con le loro sfumature calde, flebili, poi più intense. E poi c’è il silenzio. Quando mi affaccio al balcone della mia camera sento solo il vento che fa accarezzare le foglie tra loro. Una macchina solo ogni tanto.
Le stelle sono sempre lì, quelle non sono cambiate. Cambiano gli occhi, quelli sì. Cambia il tempo che abbiamo da dedicare a unire i puntini nel cielo, a riempirci il naso dell’odore del caffè, ai bigliettini ammucchiati nella scatola sulla mensola che adesso è tempo di riordinare. Ce n’era uno che diceva “anche fra tanto tempo, sarà sempre, ogni giorno, diverso”.
Ci spaventa, il diverso. Spaventa quando sospendono il nostro programma preferito, al tg non fanno che parlare di un solo argomento e sai che, se vuoi comprare un libro, devi aspettare qualche settimana prima di averlo tra le mani. Ed io ho quella smania particolare: quando decido di comprare un libro non vedo l’ora di scorrere le dita sulla carta per scoprire se è liscia o rugosa. Spaventa quando non puoi avvicinarti troppo alle persone, ma solo alle cose. E allora guardi tutti da lontano. Alcuni danno il peggio di sé. Altri il meglio.
Spaventa il diverso, ma dopo qualche giorno non è più diverso. Ti acquatti in quella anormalità disarmante e ti lasci cullare da ciò che prima normale non era. Ti ambienti. Come un pesciolino appena gettato in un nuovo laghetto. Cambi la tua temperatura, le tue dita e i tuoi occhi. Guardi con un altro filtro. Ciò che prima era normale non lo è, ciò che ora è normale non lo era prima.
Non è normale abbracciare, baciare, vedere un video sul telefono vicinissimi, tanto da avvertire il respiro dell’altro, tanto da vederlo appannare lo schermo. Non è normale scegliere il tuo cornetto preferito, andare a provare la nuova pizzeria. Non è normale il sabato sera, la domenica a pranzo dagli zii, cercare un volo su internet.
Ma è normale che tutti, nello stesso momento, nello stesso istante, stiano pensando alle stesse cose. Che tutti, o quasi, nel mondo intero sappiano che è meglio passare una serata in casa. O che devono farlo e basta. Ma cos’è la normalità allora?
È normale essere lontani. Sì, perché adesso non conta che tuo fratello si trovi a qualche chilometro da casa tua o dall’altra parte della Terra. Siete lontani. Tutti, nello stesso modo. È normale essere lontani, ma è anche normale, per la prima volta, avere uno stesso unico pensiero. Cosa c’è che avvicina più del pensiero? È normale sperare.
È fastidioso sì, quando le cose entrano nel regno dell’improvviso e imprevedibile. Come quando hai comprato un nuovo paio di scarpe e, tornando a casa, scopri che ti hanno dato un numero sbagliato. E allora capisci di non poterle avere. Magari avresti voluto indossarle quella sera stessa, ma ormai è tardi e il negozio è chiuso. E allora dovrai farne a meno, dovrai esercitare la tua pazienza. Avresti voluto godere fino in fondo, ma non puoi, e quel che è peggio è che non era prevedibile. Hai vissuto una vita intera senza quelle scarpe ma quella sera dovevano essere tue. Ma devi aspettare. Se impaziente, ma devi aspettare. E così le cose sono fuori dal nostro controllo.
Pensiamo che tutto sia dovuto, che sia giusto e basta: vivere sereni, camminare su strade lisce, danzare sulle cose, spiccare un piccolo salto quando il gioco si fa duro. Ed ecco che quei problemi, quei numeri ascoltati alle 18.00, mentre lavi i piatti o parli al telefono, quelle scene raggelanti, ecco che tutto questo diviene quotidianità. Diviene normalità. Ah bene, adesso quella luce non ti sembra più tanto scontata. Quel respiro pieno di vita, quella gioia che si espande, quella sensazione che non riesci a spiegare a parole. La gioia che provi quando ceni a un metro dal mare, con un calice di vino rosato che ti profuma le labbra. Non sapevi descriverlo a parole e allora lo lasciavi correre via. Senza provare a trattenerlo. Perché era normale.
Invece, adesso, il re è nudo. Le cose possono andare come non pensavamo, come non ci aspettavamo. Programmi buttati sulla mente, nelle note del telefono e delle parole, sull’agenda, programmi distanti mesi o addirittura anni. Programmi precisi e dettagliati, lucidi, colorati, preziosi. Piani di vita, biglietti comprati, feste organizzate, sperate, sognate, esami studiati, vite pianificate. E poi tutto sfumato oltre i contorni, indistinti barlumi e colori mischiati. All’improvviso. È difficile capire che non possiamo segnare i contorni, che non possiamo appuntare il futuro e stringerlo forte. E allora capisci che questo è il segreto. Quando, iniziando un libro, ci appare un personaggio, noi iniziamo a figurarcelo: magari magro, di statura media, con i capelli scuri. Ma, verso la decima pagina, l’autore ci dice che è un po’ pienotto, con gli occhiali e i capelli biondi. Magari è più anziano di quello che ci aspettavamo. Allora lo provi: quel moto di fastidio, ecco, proprio quello lì. Quello che si prova prima che l’oggetto che ci è scivolato dalle mani raggiunga terra, quando la torta non riesce, quando non ricordi più cosa avevi letto due secondi fa. Ecco. Quell’impercettibile smarrimento: quello è il segreto. Perché senza quella possibilità di fallimento, quella perdita di equilibrio, quella sensazione di stomaco che salta nel vuoto, senza quello non avrebbe senso fare la torta, né sognare il futuro. Se tutto fosse già leggibile, nelle righe del libro della tua vita, che senso avrebbe viverla? Allora è bello non sapere. È bello reinventarsi.
Non è normale vivere senza leggere il futuro, senza dare per scontato. Ma oggi siamo costretti a farlo ed è, in alcuni casi, una benedizione.
La felicità è una benedizione. Ma, soprattutto, è qualcosa che devi saper riconoscere.
Io voglio riconoscerla. Ora più che mai.