Vi auguro che

Qualche giorno prima di Natale è successa una cosa. Anzi sono successe due cose.

Mia mamma fa l’insegnante di sostegno e i genitori del bimbo che segue l’hanno invitata a casa per salutarla e ringraziarla di tutto quello che fa per il figlio. Le hanno fatto trovare sotto l’albero un enorme cesto pieno di cose buonissime. Non uno di quei gesti già confezionati, ma con prodotti particolari, ognuno scelto e selezionato da loro attentamente solo dopo averlo sperimentato, acquistato in negozi locali. In più c’era un bellissimo gioco per il suo nipotino, per il nostro Edo. “Ma la cosa più importante è il bigliettino che troverai all’interno” le hanno detto. Tornata a casa con gli occhi lucidi, mamma ha aperto il bigliettino. C’era una semplice frase: “Un piccolo dono per un grande cuore”. Lo stesso giorno in cui mamma ha ricevuto il cesto, è successa una cosa meno piacevole, nulla di grave, ma di quelle che ti innervosiscono e per cui ti rimane incollato addosso quel senso di disagio incontrollabile.

Arrivata la sera, ho posato la testa sul cuscino dopo aver visto una serie ed essermi addormentata quattro o cinque volte (sai quando non ricordi cosa è successo nel minuto precedente e allora capisci che è arrivato il momento di andare a dormire). A quel punto, inconsapevolmente, è stata mia la scelta: a quale delle due cose pensare, se a quella bella o a quella brutta. In realtà, neanche mi sono resa conto che stavo ancora pensando agli occhi di mamma e al bigliettino rosso in mezzo a cioccolata, vino, marmellate, pasta e creme salate.

E ho pensato che forse il segreto sta in questo. Sforzarsi di pensare sempre a ciò che di buono accade negli occhi delle persone, alle note dolci delle loro parole. Sforzarsi di cogliere un fiore anche in mezzo al fango più incrostato.
È un esercizio. È come quando, allenamento dopo allenamento, quei chili diventano sempre meno pesanti e alla fine neanche ti ricordi com’era faticoso sollevarli. E sei pronto a sollevarne di più.

Così il mio augurio è semplicemente di allenarvi, allenarvi con più forza possibile a ricordare le cose belle, a fine giornata, e di prendere solo grandi insegnamenti da quelle brutte. Provateci. Magari vi accorgerete che le cose brutte e quelle belle, in qualche modo, sono collegate. Che in qualche modo le prime riescono a spiegare anche le seconde. Ci servono persone meno arrabbiate, ci servono la luce negli occhi, le mani leggere anche se ruvide, un occhio lucido ogni tanto, una connessione tra dentro e fuori profonda, che spiazza anche solo dal tono di voce, che ti manda all’aria i piani.

Tutta questo è una metafora per un concetto un po’ banale, ma si sa, le cose a volte si imprimono meglio dentro di noi con le immagini che ci si proiettano davanti. Non sempre è possibile mettere in un angolo le cose brutte, soprattutto se sono davvero parecchio brutte. Ma cercate, almeno quando si può, di allenarvi. Se vi fate male, riposatevi, rimettetevi in sesto e ricominciate l’allenamento. All’inizio sarà difficile ma poi ci riuscirete nuovamente. Chissà, potreste diventare bravissimi.

Buon anno