E intanto il tempo diventa irripetibile

Non ci si guarda intorno, o in su o in giù. Le pupille non fanno un bel giro, un giro ampio. Non respirano. Siamo affamati di cose, di colori, di numeri e sogni. E puntiamo gli occhi sulle stesse cose, sempre uguali. Ogni giorno, ogni minuto. E quelli piangono perché hanno bisogno di favole. Di immaginare Alladin sul tappeto che la signora sventola fuori al balcone, o lo zucchero filato che si incolla ai lati della bocca al posto del cespuglio ricoperto di neve. Perché solo immaginando la mente si nutre, si riempie di forza, e può creare. E invece guardiamo dritto, fisso, per procedere oltre, avanti, mai di lato.

Soffitto. Che palle, mi devo alzare. Cellulare, schermo della sveglia. Ciabatte per terra. Corridoio. Tazza con latte e cereali. E poi lavandino, la tua faccia stanca nello specchio, il cellulare, un brufolo, l’acqua, lo spazzolino e il dentifricio che diventa spumoso e cola, il gabinetto, l’armadio, i vestiti, ancora il cancello, la strada sporca, la circolare, il cellulare, il sedile bucato, il professore che parla, il cellulare, la biro che scorre, le scarpe slacciate…  Il cellulare.

Tutto il giorno le dita si muovono veloci, a tavola, a scuola, per strada, al cinema. Lo portiamo dietro come fosse un talismano, gli dedichiamo attenzioni, cure, bocca e orecchie. Camminiamo, poi, all’improvviso, ci blocchiamo di colpo e ridiamo. L’amico che è affianco a noi sorride, contento di aver attirato la nostra attenzione, di essere stato divertente, con la sua battuta. Poi ci guarda e capisce che non lo stavamo neanche ascoltando. Che probabilmente il racconto sulla serata precedente al pub, su quella ragazza, non sapremmo neanche riassumerlo. “Guarda qua” diciamo, e gli piazziamo davanti lo schermo con un video stupido. E rimane in silenzio. Gli occhi sospesi, le parole tra la lingua e le labbra. Le parole che stava per dire e che non dirà. E non scopriremo mai cosa avrebbe detto, cosa aveva detto prima, con quali occhi emozionati ci aveva raccontato che lei gli piaceva davvero, e non vedremo come per poco non era inciampato in un vecchio materasso abbandonato vicino alla spazzatura, di come una fossetta gli si era formata al lato della bocca, di come si sfregava le mani e poi le infilava in tasca e poi le tirava di nuovo fuori per grattarsi la fronte.  Nulla. Messaggio, post, notifica. E intanto il tempo accanto scorreva e diventava irripetibile. Si formavano bolle di vita, nuvole di profumo che andava aspirato all’istante, prima che svanisse. E invece il social network, il video, i messaggi, erano lì, sempre uguali, e sarebbero rimasti tali anche l’anno seguente, nello stesso posto, alla stessa ora, nello stesso identico istante…