Rampicanti

Vi piacciono i rampicanti? Io li trovo perfetti. Se ci pensate, sono perfetti. Non hanno un traguardo, crescono e basta. Sanno che devo arrampicarsi, crescere, ma non sanno in quale direzione e, passo dopo passo, fibra dopo fibra, si costruiscono, e lo fanno guardando solo cosa c’è immediatamente dopo, su quel muro. Un tronco? Magari lo aggirano, o ci si aggrappano, magari lo abbracciano, lo ricoprono, lo fanno diventare parte della loro danza. Forse, a un certo punto trovano un chiodo interessante, e scendono, per salutarlo. Si attorcigliano su se stessi. Ed è quello che li rende così belli. Non sanno qual è la meta, ecco. Perché se lo sapessero, se ci pensate un po’, ci andrebbero dritti, senza stare lì a cambiare idea mille volte. Senza trasformarsi. La meta. Il futuro. Ve lo sarete chiesti sicuramente, una volta nella vita. Se ne aveste la possibilità, vorreste vedere dove sarete tra dieci anni? Pensateci, fra dieci anni, il 4 giugno del 2027, a questa stessa, precisa, ora. Forse non starete facendo niente di che e, potendo vedere solo un secondo di quell’esistenza, potendo affacciarvi solo un momento da quella finestra serrata, vedreste voi che fate una cosa normalissima. Ma la vostra faccia… Sarà sicuramente diversa. La vostra espressione? Anche. Sareste in grado di capire da quell’espressione come sta andando la vostra vita? Vi sapreste leggere?
A me è stato chiesto per davvero, se volevo vedere il mio futuro. E io cosa potevo rispondere, se non sì? Cinque anni fa, ho vissuto questa giornata. So già cosa accadrà, oggi, perché l’ho già vissuto. So già che incontrerò, a questo cavolo di speed date, una persona meravigliosa, diciamo pure l’uomo dei miei sogni. So già che sarò così felice da non crederci perché sentirò di aver trovato qualcosa di più. So già che mi proporrà di fare un colloquio per il lavoro che ho sempre desiderato… Mi sono vista. Tutto questo l’ho già vissuto. Uno squarcio nel futuro, uno strappo, questa stessa sera, in questa sala. Poi, di colpo, di nuovo nel mio presente, il mio presente di cinque anni fa. E, inevitabilmente, non è che avessero molto senso tutte le cose che facevo, le persone che conoscevo. Ho scritto e riscritto di quel giorno. Di fronte al mio letto, c’era una sorta di calendario dell’avvento. L’ho buttato ieri. Attendevo una cosa: oggi. Non attendevo la maturità o che arrivasse l’estate per andare con i miei in Sicilia. Non attendevo che mio fratello tornasse dall’America e che al mio compleanno mi regalassero la macchinetta fotografica. Da quando avevo circa cinque anni, ho pregato mia madre di poter avere un cane. L’ho avuto: niente. Ho solo pensato che avrebbe avuto tre anni, il 4 giugno 2017. Ho conosciuto un ragazzo, era dolce e aveva la passione per la letteratura francese. Ma non era il ragazzo del 4 giugno del 2017. Ho vissuto cinque anni in attesa di questo giorno, questo giorno che già conoscevo nei suoi più minimi dettagli. In pratica, non ho vissuto per cinque, infiniti anni. Non ho cambiato direzione, non mi sono innamorata di nessun tronco, di nessun chiodo a cui aggrapparmi. Avevo una meta. Una sola. Ora sono qui, è arrivato il giorno. Potrei riviverlo, identico, potrei far sì che accadano quelle cose meravigliose. Certo, non so cosa sarebbe successo dopo, con quell’uomo, questo non lo so. Ma che importanza ha? Il punto è che oggi, ora, non mi interessa più. Il punto è che oggi non mi siederò a quel tavolino, ma ad un altro. Perché so già come andrà a finire. E credetemi se vi dico che questa è la peggiore condanna che una persona possa mai ricevere.

(Questo testo è stato concepito e scritto per la rappresentazione teatrale “Speed Date” presso il Teatro della Polvere)