Pozze d’acqua

Tu credi di conoscere le cose, le persone, questo è più che evidente. Finisci di leggere il tuo libro e giù la copertina, nello scaffale. E te ne stai lì, impagliato, a cambiare sentimenti scorrendoli sulle pupille. Per cui, ad un certo punto, ti affacci su quel lago e ci vedi un’immensa pozza d’acqua, e nient’altro. Niente più riflessi e bagliori, solo una persona, che ti guarda sorniona dal divano. E quasi ti disgusta quella normalità, quella tua convinzione di poter indovinare esattamente cosa gli sbatte nelle tempie, cosa danza sulla sua lingua, per cosa morirebbe e che cosa pensa di quel dannato film. Pensi di sapere tutto. Cambi cornice, cambi rullino. Ma sai che ti dico? Non puoi dire che lui è così e basta, perché è come dire che in un paio d’occhi c’è un solo azzurro, e no, non c’è un solo azzurro, in quella pozza d’acqua io ci ho visto mille azzurri… ma che, non mille, milioni! Milioni di azzurri tremolanti e innamorati. Quindi no, non puoi dirmi che lui è così, che l’hai capito, che è intelligente, che gli piace il gelato al pistacchio, che quando è nuvoloso non va mai a correre per paura che piova, che quando è preoccupato si morde le labbra e si stacca le pellicine dalle dita. Perché lui non è solo intelligente, ma è anche stupido, tremendamente stupido, è furbo, scaltro, ma anche ingenuo e debole, è testardo, è divertente, ma è serio ed è geniale, lo è davvero, ed è tutte queste cose insieme, perché la scorsa volta ha preso del gelato alla fragola, che gli aveva sempre fatto schifo, ma quel giorno ne aveva voglia perché aveva fatto un sogno dove io, proprio io, sapevo di fragola, e un mese fa pioveva a dirotto ma è sceso giù a correre e piangeva in mezzo alle gocce perché non potrà mai più dire a sua nonna che è la sua stella. E quando era preoccupato, l’altra sera, davanti a sua madre, e non voleva dirle che forse dovrà trasferirsi, allora sai che faceva? Si mordicchiava le guance e nel frattempo sorrideva, e le teneva le mani. Ma tu non puoi saperlo, no, perché lui ha tante di quelle sfumature, di quei leggeri e languidi, sfocati, brillanti colori, che non è uno, non è mille, ma è miliardi e non vedo l’ora di scoprirli, quei miliardi, non vedo l’ora di svegliarmi un mattino e vederne un ennesimo, di colore, adagiato in una pozza d’acqua diversa, in cui riuscire a scorgere sotto la superficie un ennesimo balenio di luci, una tinta che non avevo mai notato e sporcarmici, sporcarmici tutta, prenderne un po’, immergermi, per poi ritornare in me, ripulirmi, e conoscerne un altro, e poi un altro ancora. Perciò non dirmi che è sempre lui, che è sempre lo stesso, che ormai lo conosco. Non dirmi che basta così. Non l’avrò conosciuto mai fino in fondo. E non desidero altro che farlo.

(Questo testo è stato scritto in vista di un’esercitazione teatrale)