Se una notte d’inverno sei andato via, dovevi sicuramente andare da qualche altra parte.

Un giorno del mese di giugno 2003, lessi un racconto che si chiamava “Ron-Ron, gatto invisibile”: parlava di un gatto che sapeva diventare invisibile all’occasione. Mi convinsi che desiderandolo tanto, l’avrei potuto vedere anche io. Il giorno dopo, a casa di mio nonno, eccoti accanto a degli scalini rocciosi, piccolo e assonnato: un dono dal cielo.

La prima volta che ti ho raccolto da terra eri così piccolo e leggero e mamma, per portarti in giro, ti infilava nella tasca della vestaglia. Ogni tanto per timore che fossi morto ti svegliavo mentre dormivi, tanto era flebile il tuo respiro di cucciolo di pochi mesi.

Ti ho insegnato a girare per il giardino senza perderti quando avevo solo 7 anni e mi riempivo il grembiule blu di scuola dei tuoi peli bianchi e mamma si arrabbiava.
L’ultima volta che ieri sera ti ho sollevato dalla tua cuccia, eri leggero quasi come quando eri piccolino e di nuovo nelle ultime settimane venivo a controllarti il respiro, ma questa volta senza svegliarti.

Hai aspettato che io fossi grande abbastanza per potercela fare anche da sola. Adesso, come Ron-Ron, sei di nuovo invisibile.

Se sei da qualche parte adesso, so che è sotto l’albero della nostra vecchia casa, a rotolarti nell’erba, felice, sotto il sole. E so che appena mi vedi, mi corri ancora incontro per sederti vicino a me, nel prato, e riempirmi di fusa sovrastando il rumore del vento. Non sei stato solo un fratello, un amico, un compagno fidato, sei stato una parte di me, troppo profonda per poter davvero sentire la tua assenza.

Mi porterò dentro i tuoi occhi infilati nel cuore, la sensazione delle carezze sulla tua testa, il rumore delle fusa, il tonfo quando salivi sul letto e poi le zampette che si arrampicavano sulle mie gambe. Il tuo nasino umido e i tuoi occhi pieni di amore, che regalavi a pochissimi. Ti amerò per sempre, Kenny.