“Il barone rampante”, se hai mai desiderato disubbidire…

Vi è mai capitato, da piccoli, di litigare con i vostri genitori, o con vostra sorella, e di prendere una drastica decisione, una decisione irrevocabile? Magari, avrete deciso di fuggire di casa, o di non uscire mai più dalla vostra stanza, o di non parlare per nessun motivo alla mamma. Ebbene, Cosimo Piovasco decide di rifugiarsi sugli alberi, e di non mettere piede a terra per il resto della sua vita. Non è uno scherzo sciocco, un proposito smentito dopo qualche ora: Cosimo, futuro Barone di Rondò, per davvero non scenderà più dalle fronde degli alberi secolari che circondano la Villa familiare d’Ombrosa. All’inizio, si profilano complicazioni di ogni genere che farebbero desistere chiunque, che a noi tutti sembrerebbero insormontabili: come ripararsi dalla pioggia? come spostarsi da un albero all’altro senza rischiare di cadere e rompersi le ossa? come lavarsi, come fare i propri bisogni? Cosimo è solo un ragazzino, ma pian piano, con la destrezza degna di un abitante delle foreste, costruisce un suo mondo, un mondo che è precluso alla gente comune, calpestatrice di semplice terreno. Quello che sembrava un gioco infantile diventa la vita di Cosimo: la caccia, la pesca, la raccolta di frutti e bacche sono ora il suo spazio vitale.

Siamo alla fine del XVIII secolo, alle porte della Rivoluzione Francese e delle conquiste napoleoniche, poi. Gli eventi storici percorrono il racconto della vita di Cosimo come ondate di emozioni che investono, soltanto di sguincio, il giovane uomo che cammina sui rami, sui tronchi. La sua fama si diffonde in tutta Europa, la leggenda dell’uomo che vive sugli alberi è ormai conosciuta ai più. Cosimo è sposato alla sua filosofia, diventa un uomo di cultura, informato, e sempre più degli altri, sulle vicende storico-politiche di tutto il mondo. Ama la letteratura più di qualunque altra cosa e ne fa la sua arma principale: e così il brigante Gian dei Brughi, da temibile latitante, diventa un cultore dei grandi classici, un lettore appassionato che accetta qualsiasi condizione pur di poter terminare la lettura della sua “Clarissa”.

La patria, la guerra, la poesia, la filosofia, che dovrebbero essere degli accessori, inutili fronzoli per un antico “Tarzan“, diventano corpo della sua vita. Il mondo di Cosimo è un mondo sospeso e areale, un luogo quasi intangibile ed astratto che si contrappone alla materialità delle sciocchezze quotidiane, ad un universo diventato troppo artificioso per poterci vivere. E così sugli alberi tutto è più vero: gli odori che si percepiscono sono puri, non fittizi come una qualche essenza femminile; i sapori sono quelli del vento tra i denti e della carne infilzata su un ramo e cotta appena, non quelli dei manicaretti infarciti di lumache e ratti che Cosimo era costretto a ingoiare; i valori sono il coraggio e l’altruismo di cui Cosimo si nutre.

A descrivere l’universo degli alberi è il fratello di Cosimo, Biagio, un occhio interno e distaccato al tempo stesso, un occhio affettuoso. Con sussultante discrezione ammira attonito le gesta del fratello maggiore, cercando di penetrarne gli arcani segreti. Quel ragazzo, che era sempre sfuggito alla normalità, ora si colloca davvero su di un piano superiore, un piano rialzato da cui può osservare il mondo con altri occhi. E ogni giorno trascorso lì sopra è una fortificazione nuova, un indurimento verso il mondo, ma anche uno sciogliersi verso emozioni mai conosciute prima. Trascorre il tempo e svanisce, pagina dopo pagina, la speranza che mai Cosimo possa tornare a visitare la sua stanza da letto, a fare colazione sull’erba, a seguire le bizze culinarie della sorella, seduto attorno alla tavola. Nonostante questo, la caparbia di Cosimo fa sì che nessun particolare del mondo gli sfugga: seguirà i pranzi in giardino sospeso su un ramo, sopra la tavola, con le gambe penzoloni, le messe su un faggio adiacente alla finestra, le lezioni dell’abate Fauchelafleur guardando dall’alto il prato. Numerosi personaggi costellano l’universo “terreno”, non circondato dallo stesso alone di purezza e naturalezza che contraddistingue i tronchi e il legno su cui dorme Cosimo. La Generalessa, madre di Cosimo, che rimpiangerà il brivido della guerra fino alla fine dei suoi giorni: austera e rigorosa, si solcherà di preoccupazione solo alla scomparsa di suo figlio oltre le mura del giardino confinante. Il Barone di Rondò, suo padre, risoluto nel non mostrare interesse verso il capriccio del figlio, preoccupato del giudizio degli abitanti di Ombrosa, e infine intenerito e fiaccato dalla vecchiaia. Alla fine, si dà semplicemente per scontato che Cosimo non metterà mai più piede a terra, se non altro rimarrà sospeso in aria, su di un lenzuolo o su di un albero di una nave, ma mai più tornerà nel mondo dei mortali.

“Mio fratello sostiene che chi vuol guardare bene la terra deve tenersi a distanza necessaria” risponde Biagio ad un Voltaire un po’ altezzoso che gli chiede delle stranezze di suo fratello Cosimo: perfino il grande filosofo appare piccolo e oscurato di fronte alla lucidità e alla genialità del protagonista.
Il Barone si fa sempre più sfuggente, più inquieto. L’amore della sua vita, la bella Viola, torna da lui dopo tanti anni a chiudere un cerchio che con lei era cominciato, quel primo giorno trascorso sugli alberi. Allora, Cosimo aveva fatto alla bambina, proclamandolo ad alta voce, esplicitandolo per la prima volta a se stesso, la promessa che non sarebbe mai più sceso a terra. Ebbene, ecco che Viola lo rivede proprio lì, sullo stesso albero di tanti anni prima, folle e innamorato come il primo giorno. Sono giorni di gioia distillata e completa euforia per i due giovani che si amano follemente sulle fronde degli alberi. Ma la fedeltà al suo mondo costringerà Cosimo a lasciarla andare. Non sappiamo se mai se ne pentirà, ma di certo Cosimo non potrà far altro che pensare a lei per il resto della sua vita: la pace dei rami intrecciati, dei legni spigolosi e ruvidi, dello stormire delle foglie non si accorda con l’irrequietezza del mondo terreno.

“Anche io vivo da molti anni per degli ideali che non saprei spiegare neppure a me stesso” dice Cosimo ad un ufficiale conosciuto per caso. Cosimo, ormai adulto, non può far altro che promettere al cielo che mai smetterà di abbracciarlo, di vivergli accanto.
“Ora che lui non c’è mi pare che dovrei pensare a tante cose, la filosofia, la politica, la storia, seguo le gazzette, leggo i libri, mi ci rompo la testa, ma le cose che voleva dire lui non sono lì, è altro che lui intendeva, qualcosa che abbracciasse tutto, e non poteva dirla con parole ma solo vivendo come visse. Solo essendo così spietatamente se stesso come fu fino alla morte, poteva dare qualcosa a tutti gli uomini.”